M O R O S I N I di millecinquecento volontari tratti dalle navi e sbarcati nottetempo agli ordini del colonnello Magnanini, lo lanciò di sorpresa, per un vallone impervio che cadeva quasi a picco sul mare, sul fianco sinistro delle truppe turche che operavano fuori della piazza, mentre sul resto della fronte un incessante fuoco di cannoni e di moschetteria e le esplosioni di numerose mine parvero preparare un formidabile attacco. Sorpresi e quasi avviluppati dal Magnanini, terrorizzati del peggio che s’annunziava, i turchi, che sommavano a circa diecimila, nonostante i tentativi disperati di molti dei loro capi di fermarli e di riadunarli, volsero in fuga disordinata chi verso la città, chi verso l’interno, abbandonando le artiglierie, le armi, le munizioni, il materiale da trincea e un grande stendardo ornato di più code, principale insegna del loro comandante. Fra le artiglierie catturate si rinvennero alcuni pezzi di cannone coll’impronta di San Marco probabilmente bottinati durante la guerra di Candia. La sconfitta del corpo campale ottomano non influì menomamente sulla resistenza del presidio della fortezza, composto di oltre cinquecento uomini risoluti; cosicché portato l’assedio sotto le mura si dovettero escogitare i mezzi più idonei a tentarne la scalata. Prima che a questa si potesse pensare, Francesco Morosini doveva prendere il largo con venti galere sue e tredici tra pontificie e maltesi. Era comparsa nelle acque di Cerigo una 216