IX. — LA SECONDA ASSOLUZIONE fastosità di arredamenti veramente grandiose; pitture di maestri illustri ai soffitti e sulle pareti, tappezzerie di cuoi dorati e di stoffe preziose trapunte, arazzi, damaschi e broccati di ogni specie, lampadari immensi di Murano e-spressamente fabbricati, inquadravano mobili ricchissimi ed oggetti d’arte rari, mentre d’ogni parte facevano pompa tesori di vasellame in argento ed oro. Al lusso seicentesco dell’apparato decorativo, si aggiungeva la suggestione storica dei ritratti a-viti, delle ricche collezioni d’armi, dei trofei di guerra, di bandiere, di insegne conquistate al nemico per lungo succedersi di generazioni. Poche famiglie dell’aristocrazia veneziana potevano vantare dimore così eloquenti sia sotto l’aspetto della ricchezza, sia sotto l’aspetto della gloriosa tradizione familiare. Chi vi entrava ne rimaneva profondamente colpito; le voci del passato si univano a quelle del tempo per ingigantire la figura del condottiero che, in attesa della sentenza non mancava di ricevere, nelle sale illuminate da migliaia di candele, il larghissimo stuolo dei parenti, degli amici fedeli e dei cortigiani. In attesa della sentenza, tra un ricevimento e l’altro, Francesco Morosini fu tuttavia obbligato a costituirsi nelle carceri della Repubblica, donde uscì, però, in libertà provvisoria. Per quanto, in tanta disavventura, la storia gli ricordasse un suo predecessore insigne, 179