M O R O S I N I spettatore del nuovo prodigioso evento, parve che il Cielo con ignota forza mi ispirasse a non fermar il corso della vittoria, onde a vele gonfie, drizzate le prore alla piazza di Lepanto, fu tale e tanto il terrore di quel presidio già spasimato dalla confusione tragica del resto, che non seppe soffrire angoscia più estrema, onde con gemiti disperati assieme agli abitanti si involò ». Minime erano state le perdite dei veneziani in quel veloce succedersi di successi; più dolorosa di tutte la morte del colonnello Cechino; grande il bottino. Con lo stendardo a tre code, suprema insegna del comando affidata dal sultano stesso alle mani seraschiere, con gli enormi materiali e con i ricchi bagagli trovati nei disertati accampamenti, ben 174 cannoni di bronzo, amplissimi depositi di polveri e munizioni, interi magazzini e di grani e di farine caddero nelle mani del Mo-rosini che dovette faticar non poco a frenare i saccheggi in Patrasso e in Lepanto. Ma un’altra preda gli era riservata. Prima ch’esse potessero prendere il largo egli catturava infatti quattordici nuovissime galere turche tosto adibite al servizio di guardiacoste in sostituzione di altrettante sue, o vecchie o resesi inabili, tra le quali ultime due, e cioè quella del sopracomito Fosca-rini della squadra Pisani, e quella del capitano Sanudo, erano state ridotte in malarnese da precise cannonate nemiche che vi avevano inoltre uccisi quattordici marinai. « Così, per divina di- 232