III. — PRIME PROVE cuorava all’arrembo i suoi, con la certezza del trionfo negli occhi e nel cuore. « Ciò che agli altri prudentemente ordinava, egli stesso arditamente eseguiva », scrisse di lui uno storico del suo tempo, piangendone la morte; ma per quanti di quei patrizi volta a volta improvvisati generali di eserciti, intendenti ai rifornimenti, ammiragli di squadre, comandanti di truppe da sbarco, la più parte raccogliticce ma saldamente governate con lo splendore dell’esempio, si sarebbe potuto ripetere l’elogio! In Candia una dopo l’altra le fortezze cadevano. Appena perdute dalle guarnigioni più che decimate da mesi e da anni di assedio, dalle generose sortite, dalle pestilenze, rinvigorivano nei vinti il furore e la volontà di riprenderle. La Canea con il presidio turco veniva cinta a sua volta di un blocco che ancora durava quando nel 1646 cedeva Rettimo. Ma come cedeva! Saltando in aria per l’esplosione di due enormi depositi di polveri, dopo che millecinquecento uomini erano caduti sui rampari, dopo ch’era morto di una archibugiata il generale Corner duca di Candia, dopo ch’era pur morto di freccia avvelenata il provveditore generale Filippo Molin. A una intimazione inviata loro da un generale turco, per mezzo di un rinnegato, di arrendersi, i nobili Minotto e Malipiero, che tenevano i forti dominanti il porto di Suda, rispondevano « che Dio e la natura insegna la propria difesa fino 59