/. — L’INCORONAZIONE degli spettatori ch’eran venuti continuamente crescendo ed invadendo perfino i tetti delle case. In meno di quaranta minuti la Signoria giunse a San Nicolò, accoltavi dagli equipaggi delle galere, dalle milizie del forte, da uno degli abati mitrati, dal clero benedettino negli abiti pontificali. Mentre essa entrava nel tempio dal piazzale arborato di acacie intirizzite, in faccia al porto, Francesco Morosini ridiscendeva in unione all’altro abate mitrato dell’ordine, per una scala interna che sboccava dietro l’aitar maggiore, nel magnifico coro ordinato e scolpito cinquantanni innanzi da Giovanni da Crema. L’incontro del Doge con la Signoria avvenne al centro della Chiesa, là dove il Morosini s’era già fermato, a pregare. « Finalmente giunto è il « giorno che il Senato, che tutta la città possa « al grande merito di Vostra Serenità presente-« mente inchinarsi » esclamò salutandolo, l’oratore del Senato : « grazie a Dio Signore, che po-« temo con l’occhio nostro vagheggiar la maestà « di quel Principe che seppe così ben difender « la patria e così bene acquistarle vasti paesi e « gran Regni ». Il Doge, sempre parco nei suoi discorsi, rispose con brevissime parole di ringraziamento, si inginocchiò, recitò in fretta le preghiere di rito, e si avviò per la porta grande della chiesa al pontile lanciato da terra sul Bucintoro. Gli tennero dietro il Senato, i dignitari della corte, il patriziato sbarcato dalle peote, i 23