X. — LA GUERRA DELLA MORE A portate a talune leggi, alle promissioni dogali, alle modalità per l’elezione del Consiglio dei Dieci, non tennero conto alcuno di ciò che, forse, avrebbe potuto salvar per sempre la Repubblica nell’avvenire. Superata una guerra alla quale le provincie di terraferma e dei domini adriatici avevano spontaneamente contribuito con fervida e commossa partecipazione di uomini, di materiali e di denaro, ampliati i quadri del patriziato metropolitano con la immissione di ottanta famiglie borghesi divenute pertanto partecipi, attraverso il Maggior Consiglio, del diritto di governo, il momento sembrava il più indicato per tentar di assurgere da una formazione statale mista di territori soggetti alla Dominante e governati dalla oligarchia della Dominante, ad una formazione squisitamente nazionale di cui Venezia non fosse che la capitale, e nella quale, con le debite cautele, almeno la nobiltà delle varie provincie fosse pareggiata nel diritto alle_ pubbliche investiture. Ma, nè il Doge Alvise Contarmi succeduto nel 1676 — dopo una tempestosa votazione — al defunto Sagredo, nominando cinque correttori per lo studio delle riforme; nè i correttori medesimi accingendosi all’opera, ebbero mente idonea a considerare con larghezza di vedute e di propositi le esigenze del momento in rapporto ai probabili pericoli del dimani. Chiusi, anzi, nella ostinazione degli antenati, di garantire sempre 187