II. — G I O V I N E Z Z A DEL MOROSIN1 la laguna, erano fatti piuttosto per trattenere che non per allontanare una giovinezza come la sua. Il giocondo ed ampolloso seicento aveva allora in Venezia aspetti e risonanze pieni di attrazione, sbocciati quasi improvvisamente in una atmosfera politica poco o nulla serena dopo un trentennio di avvenimenti pericolosi ai quali avevano fatto da corona l’incubo, lo spavento e la terribile moria della peste del ’30. Spettacoli, ricevimenti per visite di principi stranieri, pompe matrimoniali, gare di lusso invano castigate da una ridda di decreti contro il fasto, lo sperpero dell’oro, dell’argento, del velluto e della seta negli abiti da passeggio e da maschera; sarabande di meretrici e cortigiane contro le quali pure tempestavano le leggi, allietavano la vicenda dei giorni. Certo, lo splendore della Dominante era, adesso, per una buona parte più apparente che reale. I traffici languivano, gli empori si chiudevano, il movimento del porto diminuiva e nelle famiglie di patrizi o di mercanti che non avevano accumulato ricchezze durante i secoli dello splendore, entrava un senso velato di preoccupazione di cui talvolta in Palazzo giungevano i segni e le ripercussioni, come quando, in Senato, l’anno 1610, Leonardo Dona nipote del Doge, si chiedeva angosciato in un discorso rimasto memorabile : « Dove sono ora le navi e i galeoni in tanto numero che quasi non 37