M O R O S I N I lunghi secoli, centinaia di flotte possenti e di condottieri vittoriosi, una piccola schiera febbrile di soldati, di manovali, di frati, affaccendata a completare decorazioni di circostanza tese fra gli alberi stecchiti dal gelo. Essa si precipitò gridando di sorpresa ai moli, mentre gli equipaggi dei velieri all’ancora, messi sull’avviso, si arrampicavano su per il sartiame lanciando, nella frigida pace mattutina, il saluto alla voce. Del fervore dell’aspettazione di Venezia non si scorgevano, intorno, che piccoli segni; dai canali tra le isole francescane della Certosa e di S. Elena e delle Vignole, da quello che conduceva al cuore stesso della capitale, avanzavano rapide e disordinate, centinaia e centinaia di imbarcazioni, avanguardie della curiosità cittadina. Nient’altro. Ma la laguna che si levava di dosso i veli della nebbia tremò d’un tratto nelle lucide pupille dei reduci come un roseo sorriso lieve, ma pieno di promesse. Su quel sorriso scoppiò la romba delle campane cui s’aggiunse il fragore delle artiglierie. In cielo, lontano, l’angiolo d’oro del campanile di San Marco ebbe allora la luminosità di un faro; e si vide una veloce massa di colori scintillanti sopravanzare la ressa delle barche, schierandola ai due lati, e dirigersi all’ancoraggio del Doge. Il Senato aveva deciso che l’incontro della Signoria col Doge fosse preceduto da un primo 18