IX. — L A SECONDA ASSOLUZIONE rata l’inchiesta affidata all’inquisitore Erizzo e l’opportunità, anzi, di non demeritare in confronto di un uomo e d’una casa destinati a godere di una influenza sempre maggiore sugli affari di Stato, raddolcirono il sentimento del popolo, spinsero molti dei patrizi a giustificazioni ed a scuse accettate benignamente. In breve tempo la profezia ch’era uscita dalle labbra di Antonio Correr come la sincera rivelazione di ciò che più gli bruciava dentro, venne avverandosi; se il Morosini non impose personalmente il bacio del manipolo, e se non pensò a collocarsi sopra il principe e sopra le leggi, i suoi familiari assunsero anche in circostanze legali un tono di superiorità confinante quasi con lo sprezzo. Un dì del novembre ’71 si presenta al palazzo di Francesco uno dei fanti degli Avo-gadori di Comun per intimare un ordine del suo ufficio. Egli è ricevuto da Michele, il quale, preso il documento, si assenta per pochi minuti, torna, e lo restituisce esclamando : « Prendete questo vostro ordine, non credevo che il fante Dardato avesse tanta autorità da firmare un co-mandamento in questa forma ad una casa come la nostra ». Interdetto, il Dardato tenta giustificarsi osservando che gli avogadori non firmavano mai i loro ordini, ma li facevano firmare appunto ai fanti e ch’egli si era limitato ad obbedire. Michele, tuttavia, insiste, avverte « che l’eccellentissimo generai suo fratelo » è malato Morosini 177 12