XVI. — LE ULTIME GESTA E LA MORTE nel 1575 tutto era stato distrutto da un pauroso incendio. Ricostrutta immediatamente la decorazione no era stata affidata a stanchi discepoli di Tintoretto e di Veronese; e n’era uscito un non so che di freddo, o di voluto e di frammentario che per voler esser allegorico dì troppe glorie, disperdeva le idee anziché esaltar le fantasie. Sulla parete di fronte al trono, traendo partito dalla porta insigne che dava l’uscita allo scalone dello scrutinio, il Tiralli innalzò, in memoria di Morosini un arco trionfale entro i riquadri del quale un pallido epigone della pittura veneziana del cinquecento, Gregorio Lazza-rini, dipinse sei tele rappresentanti il Doge che presenta la Morea conquistata a Venezia; il merito e la prudenza che caratterizzano la pace di Candia; la conquista di Santa Maura e di Pre-vesa; le vittorie navali; il valore che porge a Morosini il corno dogale e quattro bastoni di capitan generale, due dei quali d’oro per ricordare che egli era stato due volte capitan generale e Doge insieme; la Fede, infine, che gli offre il pileo e lo stocco pontificio. In una lapide centrale sopra la porta il 30 di ottobre del 1694 il Senato faceva apporre la iscrizione « Francisco Mau-roceno - Peloponnesiaco - Senatus ». Quella medesima letteratura di circostanza che aveva esaltato le campagne di Morea e la quarta partenza di Morosini contro il nemico con « tributi di Pindo », con « tributi canori », 339