M O R O S I N I « capivano in questi porti? ». Ma, in contrasto con la penetrazione di pochi, la massa del popo- lo avvertiva la decadenza commerciale soltanto visivamente. Decimato dal contagio esso trovava facilmente lavoro; d’altra parte la Repubblica manteneva nel massimo di efficienza tutti i suoi apprestamenti marittimi e militari; ciò che, in uno coi progressi delle costruzioni navali, e con quelli della fabbricazione delle armi da fuoco, imponeva l’impiego costante di vaste maestranze. L’imprevedibile minava la robustezza dell’edificio statale solcandone di crepe, sotto gli intonachi, i muri maestri; ma il pericolo non pareva di gran conto, quando anzi la Repubblica, che nel cinquecento aveva superato, con somma perizia diplomatica e militare, l’assalto militare e diplomatico della lega di Cambrai, sentiva ancora di contare integralmente come una temuta potenza, attraverso la gelosia e la subdola rivalità dei grandi stati continentali come la Spagna e l’Austria; attraverso la diffidenza e i rancori del Papato, l’incerto ed ondeggiante tergiversare della Francia, la rabbia e la ostilità di Costantinopoli; e in mezzo alle difficoltà di una Italia per nove decimi già schiava dello straniero da Palermo a Napoli, a Milano, di un’Europa travagliata da contese senza fine, toccava proprio a lei di compiere spesso il gesto che decideva di una situazione, con un aiuto di armi, o di denaro, o con l’auto- 38