M O R O S I N I se in buona fede e che veramente ed unicamente volesse con animo catoniano il trionfo della giustizia, resta il fatto che si potè immediatamente sospettarlo di aver sfruttata la cosa per porre, a quel modo, la sua candidatura alla carica, importantissima, di « avogador del co-mun » e rientrare così, con nuove ambizioni, tra i dignitari dello Stato; di essersi fatto stro-mento di una rappresaglia iniqua per conto di uno strettissimo amico, e di una miserevole rivalità esistente tra nobili del nuovo e nobili del vecchio patriziato, appartenendo il Morosini al vecchio, il Correr al nuovo. L’amico in qualche modo vendicato, col suo atteggiamento, da Antonio Correr era quel patrizio Antonio Barbaro, già provveditore di armata agli ordini di Francesco Morosini, da questi condannato al bando, e fuggito a Venezia dove aveva potuto, grazie alle molte aderenze, farsi perdonare ed assolvere dal Senato, dopo di che, naturalmente, giovandosi anche delle conoscenze di causa acquisite per la sua carica nell’armata, s’era dato a largamente contribuire alla campagna di mormorazioni contro il capitano generale. Antonio Correr non aveva scelto a caso la sede del Maggior Consiglio per pronunciarvi la sua requisitoria. Per il modo stesso ond’era formato e per il numero dei suoi componenti, sebbene questi fossero necessariamente nobili esso, in fondo, « odorava di popolo », agevole, quin- 150