XII. — LA CONQUISTA DI ATENE tati e li aveva divorati ardendo tra di essi due giorni interi, con « crucciosa mestizia », riferiva il Peloponnesiaco nei suoi dispacci, per chi vi assisteva dal mare, non inferiore ai « notabili danni ». La miserabile sorte di Atene non fiaccò il coraggio del presidio turco che di Atene città d’arte non faceva alcun calcolo. Sostenuto dalla speranza di essere soccorso dal seraschiere esso rispondeva, continuava il rapporto del Morosi-ni, « con ardito coraggio e con brava difesa all’ardire degli aggressori ». Ma il seraschiere non si fece vivo, e un grosso nucleo di cavalleria inviato a sostenere la piazza diede di volta non appena vide muovergli incontro la cavalleria di Koenigsmark e la fanteria oltremarina. I turchi, che avevano seguito dall’alto la vicenda di questo singolare episodio si persuasero dell’inutilità della loro resistenza e issarono la bandiera bianca. Morosini avrebbe voluto ch’essi si arrendessero a discrezione, ma il generale Koenigsmark lo pregò di non tirar troppo la corda; l’assedio era giunto a un punto morto e si faceva molto più problematico di quanto non fosse sembrato agli inizi; meglio adunque approfittare delle buone disposizioni della piazza. I turchi ne uscirono con l’onor delle armi; e la sera del 5 in numero di tremila furono imbarcati per Smirne. Trecento dei due sessi rimasero invece « a mondar l’anime impure con l’acqua del santo 259