/. _ L’ INCORONAZIONE di comando della sua galera, in cospetto dell’armata che lo adorava, la assunzione alla dignità dogale gli parve d’un tratto come una promessa divina di riposo in patria avanti la morte, e sperò nel richiamo tanto più ardentemente quanto meno oramai la sua presenza era divenuta indispensabile al coronamento vittorioso della guerra. Ma fu speranza breve; con la partecipazione della sua esaltazione Francesco Morosini riceveva infatti la conferma nella carica di capitano generale e l’ordine, mellifluo nella forma ma perentorio nella sostanza, di rimanere alla testa dell’armata e alla direzione suprema delle operazioni fino al termine della campagna. Preoccupato meno delle sorti del condottiero, che non del pericolo di veder compromesso col ritiro del condottiero il cui nome incuteva di per sè solo rispetto e timore all’indomabile nemico, l’esito di una guerra altrettanto lunga quanto dispendiosa ma, tuttavia, insperatamente vittoriosa e ricca di risultati materialmente e moralmente apprezzabili, il Senato resistette tergiversando alle successive lettere del Doge che faceva palesi le sue tristi condizioni di salute. Il primo di ottobre del 1689 (fallito, non per colpa sua, l’assedio di Negroponte, ed in attesa della immancabile caduta di Malvasia che avrebbe perfezionato il possesso della Morea), il Morosini che da due mesi era febbricitante ed aveva dovuto perciò rinunciare ad una divisata crociera nell’Arci- 13