XIII. — L’ELEZIONE A DOGE « i senatori, ce ne rallegriamo con noi medesimi « come lo facciamo grandemente con la Serenità « Vostra sotto li di cui fedeli auspici confidia-« mo di vedere sempre più prosperare le cose « pubbliche ». Siamo certi, proseguiva la lettera illuminando una volta dippiù il potere senza limiti di cui godeva la Signoria anche nei riguardi del Doge, « ch’ella si compiacerà di contici nuar alla direzione di coteste gravissime oc-« correnze come lo troviamo necessario sin che « venga da noi diversamente disposto ». Il Senato prometteva, però, di assisterlo con tutti i mezzi richiesti dalle « meditate imprese, dalla dignità del capo della Repubblica chiamato a dirigerle » e affidava al suo segretario il compito di illustrare verbalmente questo concetto. Per quanto celermente andasse, Giuseppe Zuccato non ebbe la consolazione di giunger il primo, con la felice novella, al Morosini. Il giorno medesimo della elezione, i « quarantuno » del Maggior Consiglio, avevano armata e lanciata per l’Adriatico una fusta velocissima con un messaggio di circostanza. Altre fuste con lettere piene di rallegramenti erano state spedite dai famigliari e dagli amici più fidi. Così quando il segretario del Senato fu ammesso alla presenza del Doge, lo trovò vestito di tutte le insegne corrispondenti alla sua dignità col berrettone di capitano generale in capo. La flotta del capitano generale ebbe la notizia 271