M O R O S I N I perdeva occasione per insistere sulla necessità di vivificare la guerra da corsa, di non dar tregua per mare al nemico, di non interrompere gli effetti delle vittorie lasciandolo dopo di esse padrone di sè medesimo, ma anzi di perfezionarli inseguendolo « pei; opprimerlo e dissiparlo »; tutti concetti propri di un condottiero giovane e ardito che, espressi con intonazione forse sarcastica, suonavano ad Alvise Mocenigo, vecchio e cauto, come rimproveri di debolezza e di inerzia. In occasione della riunione della Consulta per la ripartizione del bottino conquistato a Nixia, Morosini perorò per iscritto una richiesta a favore di numerosi capi di nave, di governatori e di sopracomiti. Alvise II Mocenigo approfittò della cosa per investirlo malamente in presenza degli altri consultori; per accusarlo di aver combattuto senz’ordine, per escluderlo dal resto di quella seduta e dalle successive, e per metterlo agli arresti durati quaranta giorni. Ma Francesco non era uomo da accettare tale oltraggio in silenzio e rassegnazione. Dalla sua galeazza il 5 agosto del 1651 egli scrisse al Governo Serenissimo esponendo i fatti, dolendosi che i suoi servigi gli avessero fruttato simili amarezze mentre nell’armata era « pubblico il merito suo per la vittoria » facendo carico della incompletezza di questa al capitano generale dedito a « inseguire pinchi e navili piuttosto da mercanzia che da guerra ». Una inchiesta nell’armata non - 72 -