Vili. — IL SECONDO PROCESSO gliori di vergogna, poiché del sangue suo, in servizio della patria, egli non ne aveva versato neppure una stilla. Ma appunto perciò voleva mettere tutto il suo ingegno e tutta la sua facondia al servizio delle pubbliche libertà, ciò che doveva considerarsi altrettanto giovevole quanto l’impiego della guerra. Su questa infelice uscita erano scoppiati i primi clamori. Si trovavano, in Maggior Consiglio, decine e decine di patrizi che, con gradi disparati, avevano partecipato alla titanica lotta contro il turco, pagando di persona. La loro solidarietà con colui che, comunque, riepilogava in sé quella epopea fu tosto decisa. Il Correr dopo i ringraziamenti d’uso per l’onore fattogli chiamandolo alla carica di avogador, e dopo gli elogi, pure d’uso al Doge ed al Senato, aveva voluto assicurare la assemblea che non si sarebbe lasciato « adombrare, da passioni private » e che non da ambizioni personali era mosso, ma esclusivamente da zelo di affetto verso la patria. Fatta una distinzione tra accusa, tanto più lecita, quanto fondata, poiché il timore dell’aperta accusa regola la disciplina dei cittadini, e calunnia giustamente da condannarsi, si proclamò stro-mento di accusa non di calunnie; e passò senz’altro all’oggetto del suo discorso dichiarando di voler proporre « l’intromissione della parte » cioè l’annullamento del voto con cui Francesco Morosini era stato eletto procuratore di S. Mar- 159