XIII. — L’ELEZIONE A DOGE sorientare l’avversario e frazionare le forze. Il combattimento impegnato con estrema e feroce violenza su tutta la fronte ebbe alterne vicende; respinti per ben tre volte, gli assalitori spronati dall’incitamento del capitano, dalla presenza vigile del Morosini, del generale Ohr e del generale principe di Brunswick, riuscirono finalmente ad aver ragione del nemico. Furore di artiglierie, fuoco di moschetteria, lancio di granate e di sassi non valsero ad arrestare la colonna del sergente maggiore di battaglia Gentili nell’assalto alle alture che costituivano uno degli obbiettivi principali della giornata. Così al calar del sole torrido la vittoria premiava l’audacia e la fede del Doge. Millecinquecento erano stati i morti nelle file dei turchi ritiratesi a presiedere la controscarpa delle opere principali di difesa della piazza; trentanove pezzi di cannone e quattro mortai da cinquecento finiti nelle mani dei veneziani con un abbondante munizionamento, furono la sera stessa rivolti contro le nuove, sempre formidabili posizioni. I patrizi veneziani presenti al campo avevano gareggiato, durante i combattimenti, di indomito valore. Abbandonato, per l’occasione, il letto in cui giaceva gravemente malato, il provveditor straordinario Dolfin, s’era lanciato nel folto della mischia; altrove Antonio Canal, Vettor Zane, Almorò e Michiel Morosini, nipote quest’ultimo del Doge, si erano frammischiati ai soldati divi- 281