Vili. — IL SECONDO PROCESSO San Marco, si restituiva l’onore ai francesi e si veniva a proclamare che non essi avevano mancato, ma lo stesso capitano generale delle armi di San Marco, reo di tradimento verso la patria. Così a dispetto del merito loro, i veneziani badavano a spogliarsi di quella gloria che il mondo intero loro consentiva. Venendo a parlare della pace osservò esser questa conclusa dal Morosini la sola non comperata dal turco con denaro; e rammentò la perdita di Cipro dopo la vittoria di Lepanto. Ribattè le argomentazioni del Correr circa la nullità della deliberazione che conferiva la dignità di procuratore di San Marco, per la insufficienza dei voti. Noi mandiamo, disse, i nostri migliori a morire combattendo con la metà dei voti; e quando si tratta, poi, di premiarli invochiamo il cavillo cc della strettezza ». Documentò inesistente l’occultamento delle lettere annunzianti la resa della piazza e concluse protestando che se la « intromission della parte » fosse stata approvata, egli si sarebbe ritirato in campagna, non potendo ammettere il sistema di imporre ai cittadini cariche gravose come quella di capitan generale tenendo in serbo, al minimo pretesto, il castigo anziché la ricompensa; ciò che era fatto per indurre chi non sapesse parlar in arringo e a pubblicamente difendersi da improvvisi attacchi ad allontanarsi dalla repubblica per evitare ogni incarico di fiducia e le sue possibili conseguenze. 165