M O R O S I N I bocche di tutti : popolo, patrizi, senatori, il medesimo nome. Anche se non risulti documentata da carte veneziane l’asserzione di qualche storico, che i muri della città si vestissero di scritte, come questa : « Chi vi ha dato un regno, ha diritto alla corona », il sentimento unanime si traduceva in consimili affermazioni categoriche. La consuetudine, negli atti della Repubblica, non era favorevole alla elezione di un doge nella persona di un assente; ma si passò sopra, senza nemmeno pensarvi, a siffatta formalità, pur di dimostrare ancora una volta la gratitudine della patria all’uomo che ne aveva resuscitate le energie e rinverdite le glorie, facendo di un’epoca di decadenza l’emula delle più fulgide tra le trascorse. La elezione del Doge avveniva con un meccanismo complicato. Il Maggior Consiglio, appositamente convocato, estraeva a sorte trenta dei suoi componenti, questi si riducevano, eliminandosi pure per estrazione a sorte, a nove. I nove, con votazione segreta, sceglievano sempre nel Maggior Consiglio altri quaranta membri; il consesso che ne risultava si riduceva, a sua volta, a dodici che ne sceglievano venticinque; una terza falcidia limitava la commissione ancora a nove; con ulteriori accrescimenti ed eliminazioni questi salivano a cinquantaquattro, scemavano a undici, risalivano a quarantuno. I quarantu:.o finalmente designavano, con scruti- 268