Capo VI. J7j i trodusse la distinzione tra Chiesa, ed Altare i onde ■ nel Sec. XI Abbone Floriacense lagrimando scrive : I Est errar gravissimi^, quo fertur Altare esse Epi-¡. scopi, & Ecclesiam alterius cnjuslibet domini. Cioè 1" per Chiesa intendevano i beni temporali , e per Altare le cose spirituali. Passarono poi ool tempo le Chiese da’ laici a’Monaci, Canonici e Vescovi, quali per alcun tratto ritennero la distinzione essi pure di Chiesa e di Altare , e conseguentemente divenuti come Patroni , si arrogavano eziandio il gius di eleggere per la cura dell’ anime e cose spirituali alcuni Sacerdoti, che dissero Vicar) -Erano questi da prima ammovibili o temperarj ; ma i disordini che nascevano da questo fecero, che j Canoni prescrissero la perpetuità dei Vicarj „ laonde oggidì in nulla sono differenti sostaìDzial-mente dai benefiziati, che tengono i benefizj co-^ *me Persone , ossia nomine proprio , se non che? ■non godono tutti i fondi benefiziali. 369 ) Non andò immune , bisogna confessarlo , la nostra Città da questa disciplina, e da quel morbo, che in certi tempi produsse. Quindi in S„ Matteo abbiamo veduto le Case del piovan secu-lir j (Ij 771» II» 3I(S, 3!8), e il suo Rettore appellato perpetuo (II, 318). Vicario pure perpetuo ancora oggidì appellasi il Parroco di S. B01-tolameo, dacché Giovanni XXII, nel 1326, unì quella Chiesa alla Mensa Gradense. Se alcuno di •; quelli i quali nei rimoti secoli trovansi fra noi Jb col titolo di Vicario, reggesse qualche Chiesa nomine aitino di qualche laica persona , possiamo - sospettarlo , ma non asserirlo : sarebbe però egli f ancora così stato Plebano j ma da cotali appella-? zio-