243 1,0 SCRITTORE BARI.EZIO monumento letterario, una epopea in prosa, ove il Castriota doveva apparire ornato delle virtù di quegli eroi che l’autore aveva conosciuto e ammirato nelle opere classiche. Insomma, il Barle-zio non avrebbe potuto trovare un soggetto più adatto per lui, pieno di nostalgia di quel glorioso passato che sentiva ancora cosi vicino, non avrebbe potuto scegliere un argomento più idoneo per manifestare il suo entusiasmo di fronte alla grandezza umana, per esercitare il suo slancio rettorico nel trattare di esso, e infine non avrebbe potuto avere migliore occasione di palesare — come prete — la sua ammirazione per l’uomo che difendeva con brillanti vittorie non soltanto il suo paesino, ma proteggeva — contemporaneamente — pure la Cristianità. Di più : con questa opera, che serviva anche all’ambizione e al desiderio di celebrità dell’Umanista, egli aveva la speranza di svegliare i popoli cristiani dalla dannosa sonnolenza, in cui si trovavano e di spronarli ad allontanare la continua minaccia della Mezzaluna. Ma diamo la parola al Barlezio stesso. Ecco quel che ci dice a proposito del miserabile trattamento riservato ai Cristiani soggetti ai Turchi: « O Dio, mi piace in questo luogo gridare et alquanto partirmi da l’istituto ordine. Veggono queste cose e tanto longo tempo l’odono i Principi Christiani, nè niuno è mosso da così grave servitù di fratelli, da li legami così crudeli, da le voci così mestissime, con le quah hanno fin’hora riempiuti i monti, i mari e per tante età tutti i campi. Scorre per tutto il nostro sangue. Andiamo mancando pian piano, nè se l’accorgiamo. Siamo caduti in quei tempi, che già volendo così Dio, overo più tosto per le nostre opere, che appo i Turchi sia più vile il sangue di Cristiani, che de le bestie. Et sarà, se questa peste va avanti, che i nemici non estimeranno appena un danaro trenta de’ corpi nostri, come è scritto de’ Giudei in la cattività di Gierusalemme. Nè già potemo temere peggio, perchè siamo divenuti a la sommità della malitia. Nè potemo haver peggio di quello, che noi havemo, nè la crudeltà di nimici puole esser più ingeniosa al male, di quello che è»1. 1 Barlezio, lbid.t VI, 74 v. — 75 ; cf. la traduzione del Rocca, ed. del 1568, f. 186—186 v.