ii8 FRANCESCO PAI,!, 252 Il Sacerdote si rese conto che le gesta dell’Eroe, così come le racconta egli, avrebbero svegliato nell’animo dei lettori certi dubbi o anzi sospetti riguardo alla loro autenticità. Perciò si affretta, proprio dalla prima frase della prefazione, a prevenire contro gli scettici. Infatti, ivi afferma che aveva alquanto esitato a iniziare questo lavoro, perchè aveva saputo che alcuni lettori, che giudicano il glorioso passato (l’epoca di Scanderbeg) attraverso il prisma dell’umile presente (l’Albania sotto il giogo turco), invece di avvicinarsi, con ammirazione a quel passato, così come aveva fatto il Nostro, avrebbero accolto forse l’opera con diffidenza. Egli ci spiega che la causa delle eventuali riserve sarebbe dovuta alla subitanea caduta in misera situazione dell’Albania dei suoi tempi, dopo epoche di grandezza e di libertà. La caduta ebbe luogo subito dopo la morte di Scanderbeg. Donde poteva darsi che fosse difficile per quelli che vedevano soltanto il lugubre stato delle cose del loro tempo, ammettere l’autenticità delle imprese gloriose del Castriota1. La verità è una cosa « quod maxime historia quaerit »2. Egli dunque consapevole della « historiae gravitas »3, garantisce di rispettare sempre la verità per non poter esser attaccato da nessuno 4. Per allontanare da sè l’eventuale « sospetto »5, egli stesso fa alcune riserve nel corso del racconto. Per esempio, accennando alle splendide vittorie dell’Eroe, riportate con truppe incomparabilmente inferiori per numero a quelle del nemico, ci dice che esse sono talmente straordinarie, che ne trasmette alla posterità molte « con una certa esitazione », forse per non essersi convinto di persona della loro autenticità8. Altra volta stima che ciò che egli 1 Ibid., prefazione, 1. a Ibid. * Ibid., II, 16. 4 Barìezio, ibid., prefazione, 2 : Istud vero, quod ad me attinet, bona certe fide praestabo, contendam, ut nemo vel infidelem vel segnern operam meam in hoc iure possit arguere. 6 Ibid., II prefazione, 84 v. * Ibid., II, 20 v.: ipse plerunque non sine haesitationeyquadam multa ad posteros transmitto, prius fere quam illa ad animum admi-serim meum.