Capo VI* 171 stessi ; non essendo più giusto nè mantenere la divo** zione agli Imperatori pei quali tanti mali soffrire dovevano senza poter essere difesi , nò trascurare quei vantaggi e dritti, che la natura e la Romana Cittadinanza loro impartivano . Ma perchè ciò più chiaramente s’intenda , conviene osservare, che il g’us principesco e la sovrana Maestà risiedevano propriamente nel Senato e popolo Romano . Passò con ingiustizia e violenza laRep. in balìa degli Imperatori, ma per quante fossero le adulazioni verso i Regnanti, non mai quel Senato perdette radicalmente il suo dominio, e di }ui fu propriamente l’Impero . Questo Impero non era già una cosa ereditaria : gli Imperatori non erano che Capi della Rep. di cui era la vera Maestà, e che il Senato sempre esercitò per quanto non fu oppresso dalla tirannia. Il Senato dichiarò Nerone ancora vivo ‘ibernico dello Stato : e noi ben sappiamo quante volte lo stesso Senato , non già il Successore, rescise gli atti degli Imperatori dopo la loro morte , perchè troppo crudeli. Sappiamo da Sifilino ed Erodiano , che il buon Imp. Pertinace non volle nemmeno posto il suo nome su certi fondi, dicendo che non erano suoi , ma della Rep. S. Gregorio quand’ancora instava appresso gli Impp. allegava le sole utilità della Rep. la quale estinto l’Imp. d’Occidente nella morte di Augustolo ucciso nel 476 , é nato il Regno degli Eruli nell5 Italia, e poscia quello dei longobardi nel 574 j pure riconosceva ancora se stessa vera Signóra. Il sopralodato S. Gregorio per tanto nell’ep. 6$, al. 61, lib. 13 , così scrive all’Imp. Mauricio : Tacque ut episcopus , nequt ut servus jure