Capo VI. r 6j ullo petiti sint, adirne eruere ex tanta annalium ve-tastate non potui. Se dunque non si può trovate, che i Romani abbiano mossa guerra ai Veneri, nè mai gli abbiano soggiogati , bisogna confessare , che qualunque sudditanza avessero in alcuni tem-! pi, era di amicizia, e volontaria , maneggiata da una finissima politica , che tutto studiava di fare, per non perder la propria libertà. 180) Le frequenti inondazioni dei Barbari avevano fatto abbandonare dai Veneti buon tratto dì paese d’intorno Aquileja, nel qual senso Strabone la chiama posta extra Fenetorum fines. In quel deserto paese entrarono alcuni Galli Transalpini, come dice Livio lib. 39 , f 40 , ed ivi presero a edificare oppidum. Temendo i Veneti da ciò qualche pregiudizio alla loro libertà , ne avvertirono ÌI Senato Romano , il quale adoprò a tutta possa perchè indi sloggiassero quei Barbari . Ma poi il Console Claudio coll’ approvazione del Senato piantò in Aquileja una Colonia de Latini 170 anni circa prima di Cristo. Tuttavia questo nuila pregiudicò alla Veneta libertà , che ancora così salvarono immune dal giogo Romano . Conciossia-chè abbiamo registrato da Giulio Capitolino, che circa l’anno di Cristo. 240, tentandoMassimina d’ impadronirsi d’ Aquileja, fin le donne si tagliarono i capelli onde supplire alle corde d’arco che mancavano , tant’ era T ardore di conservare la propria libertà . E Candido ci conservò una lettera scritta verso l’anno 280 della nostra Salute dal Senato Romano agli Aquilejesi , citata eziandio dal T e*’-tori III, 76, e da altri : Senatus amplìssimus Aqui-lejensibus salutem. Vt ejlis liberi , & semper fui- L 4 stis ,