L’ ORA DI TRIESTE «disimpegnare», formule oramai non dubbie anche a coloro che per aver il conforto di leggerle devono farle scrivere con il sangue dei propri figli. Le notizie del regno d’Italia invece deludono quando proprio non sconfortano. Alla esaltazione di speranza che ha destata l’interpretazione evidente data dalla Camera italiana al discorso del Presidente dei Ministri il 4 dicembre, è seguita l’umiliazione per ciò che pochi giorni dopo hanno potuto dire troppi senatori italiani. I discorsi di un senatore Barzelletti o di un senatore Garofalo - riprodotto a parte dal Correspondenz Bureau - e i voti che così autorevoli amici dell’Austria hanno pur dato favorevoli al Ministro italiano hanno fatto dubitare anche del Ministro che li ha accettati. Fatta tutta la parte di prudenza verbale che si può concedere all’inutile machiavellismo dei tempi tragici, ne rimane ancora troppa e troppo inutile nell’opinione italiana perchè Trieste vi legga dentro la volontà risoluta di chieder la propria parte di Giustizia alla grande Giustiziera che restaura il diritto di Europa. C’è un pensiero dominante che si sfibra per la sua stessa insistenza. L’Italia? ma che fa l’Italia? L’Italia mostra una faccia di Sfinge che si sia dimenticato il senso del suo enigma. Coloro che più hanno amata la patria più vivono trepidanti. Trascrivo da una lettera che mi manda uno dei più ardenti e operosi agitatori dell’idea italiana in una delle città Giulie che non è Trieste; è una lettera scritta mentre sta per essere arrolato nell’ultima leva: « E la Madre che fa? Noi, a dire il vero non ci attendiamo nulla di buono : troppo radicata è l’antica viltà. Ma sia come vuole: anche qui c’è il posto di combattimento e forse è più doveroso lottare qui che dall’altra parte. Alle volte son quasi rassegnato alla fine : o come ostaggio o come solda- — 156 —