TRIESTE nabuli del suo passato, remoto nel tempo, vicino come simbolo perenne ai cittadini. Lì è il fòrnice d’arco romano che il popolo chiama arco di Riccardo; sono gli scavi del teatro romano; è, in vetta al colle, San Giusto. Grossa chiesa tozza come un bastione avanzato di fortezza : costruzione umile ma espressiva di un rozzo bizantinismo impoverito. Ma è il simbolo. E la strana piazza, solitaria in mezzo a una città affollata, fuori mano nella sua vicinanza al centro, con il suo orizzonte di acropoli, ombrata da vecchi lodogni, è un richiamo alle memorie e al raccoglimento pensoso. Trieste lo sa, e ama il suo vecchio San Giusto con una tenerezza antica di comune italiano che contrasta con la sua faccia di città tutta nuova, quasi coloniale. La tradizione storica che le città rinnovate seppelliscono nel presente è stranamente viva a Trieste. Gli animatori della nazionalità cittadina hanno mantenuto il culto delle memorie antiche. E non è inutile vanagloria. È ben costretta a tener sempre in mostra i suoi diplomi la famiglia di cui si osi mettere in dubbio la nobiltà. Così il sentimento municipale è vivissimo in questa città che ha sofferto, nel passato, anche per troppo particolarismo. Ma ora il sentimento municipale è una delle forze che la tiene raccolta e stretta contro il nemico. Il nemico si sente dovunque. Trieste con la sua fisonomía espansiva, così aperta sul mare che comunica con tutto il mondo, è viceversa una città isolata fra cose ostili. La muraglia di monti la stringe come una cintura che non si deve superare: al di là si indovina qualche cosa di troppo estraneo : un altro mondo e un pericolo. Il mare sì è per lei; e naturalmente sul mare dovrebbe comunicare con Trieste tutto il mondo di cui fa parte. Ma il mare si annuncia _ 38 _