L’EQUILIBRIO ITALIANO DELL’ADRIATICO due porti di Trieste e di Fiume - la Dalmazia non ha porti se non d’importanza locale e di cabotaggio costiero - non poteva in nessun modo essere neutralizzata nè da Venezia, nè da Ancona, nè da Brindisi. Il destino di un porto è connesso alla sua posizione geografica, e in nessun punto che appartenesse allo stato italiano, l’Adriatico si avvicina ai territori dell’Europa centrale come Trieste e Fiume, porti italiani ma in possesso dell’Austria e dell’Ungheria. E non era nemmeno possibile - nè forse desiderabile - che Venezia italiana potesse via via strappare a Trieste e a Fiume austriache una parte del loro traffico. Il traffico del Mediterraneo orientale era avviato a Trieste prima che Venezia risorgesse come porto mercantile del nuovo regno d’Italia. Venezia ha progredito: per il movimento marittimo - 26,7 milioni di quintali - nel 1910 raggiungeva quasi Trieste con i suoi 28,5 milioni, saliti nel 1913 a 34,5. Ma è stato progresso tutto suo, di merci avviate e provenienti da territori diversi da quelli a cui servono di sbocco Trieste o Fiume. L’entroterra del porto veneziano è tutto nella valle del Po e nella regione alpina italiana, mentre l’entroterra su cui ha influenza il porto triestino si estende ad una linea che va da Praga al confine boemobavarese fino al Lago di Costanza; il porto di Fiume poi -traffico marittimo, nel 1913, 20,8 milioni di quintali — assorbe merci dalla Croazia, dall’Ungheria e ne attira fin dalla Bulgaria e Rumenia. L’efficacia reale di un porto non va però nemmeno misurata soltanto dall’estensione chilometrica del suo entroterra; perchè se Trieste o Fiume possono imbarcare o sbarcare un collo di merci destinato a Praga — distante quasi mille chilometri - non è vero affatto che tutte le merci che si muovono