TRIESTE trale doveva fare i conti con un nuovo elemento etnico. Non pareva un elemento avverso alla « idea di stato » che è il dogma tradizionale dell’Austria: specialmente tra gli Slavi meridionali avevano buona fama austriaca i Croati, antichi cosacchi del-l’Impero. Gli Sloveni della Carniola e della Carinzia, senza essere croati, avevano però delle qualità naturalmente simpatiche all’ autorità : erano contadini in uno stato che si è sempre fondato sulla proprietà fondiaria, erano bigotti in uno stato clericale ; erano poveri e ignoranti, perciò cupidi e insensibili alle civiltà superiori. A Trieste ce n’erano già, sperse negli strati sociali inferiori, alcune migliaia. Di costoro si servirà il Governo per intaccare l’italianità della Venezia Giulia, alterarla, ridurla un giorno ad un ricordo innocuo. Gli Slavi, come tutti i popoli nuovi che cercano un loro assetto, tendono al mare. Trieste è offerta come preda. Sieno anche slavi il porto e il mare austriaco purché non sieno in nessun modo italiani. E il governo si fa impresario nascosto di quest’opera di colonizzazione interna. Avendo l’aria di considerare la calata slava come un’azione naturale e inevitabile, la favorisce, le fa le strade, le prepara i premi. Sapendo per esperienza che la città ha forza di assorbire e neutralizzare anche un certo numero di Slavi, studia le leggi del limite di saturazione, e lo supera con importazioni di grandi masse slave in blocco. Non sono soltanto gli Sloveni dell’interno vicino, ma i più lontani Serbo-croati ; ma tutti gli Slavi che vogliono venire a Trieste trovano aiuti nel governo e nelle forze governative. Ed ecco una trasformazione slava della burocrazia governativa a Trieste. Negli uffici del porto, nelle poste, nelle ferrovie, dovunque il governo può mettere un suo impiegato, questo è uno slavo. Altri vengono a trovar lavoro nelle in- — 46 -