— 500 — un convincimento profondo e intiero, e la Nazione bollente di possedere alfine la sua capitale, altro non abbisogna che di conoscere per qual via veramente essa potrà meglio conseguirla. Che le passioni individuali tacciano e l’effetto sarà pronto e sicuro. Ella sembra desiderare che io dica il mio giudizio intorno agli uomini che sono al governo d’Italia rispetto a Roma. Poiché lo vuole, lo farò. Mi limiterò a parlare del Capo. Egli entrò al Governo, cogl’ impegni i più strani e i più contraddenti, da un lato doveva spingere la rivoluzione, dall’altro la doveva sopire e spegnere fino ad attentare alla libertà, mettendo in ceppi il diritto di associazione; doveva rallentare il corso per Roma, e invece organizzare il Paese, che era vezzo il dire che non si procedesse in verun modo nell’organizzazione; dovea tórre al Mazzini il varco per l’Italia, ma blandire Garibaldi con promessa di aiuti alle sue imprese. Il poveretto non vide che egli andava a fare tutto il contrario, meglio a conseguire tutto il contrario, perchè invero non credo sappia mai dove vada, e se pur lo vide, certo è che la gran leggerezza del suo carattere, e la pochezza del suo spirito non glielo fecero apprendere come cosa seria, e che avrebbe potuto mettere in risico la Nazione, e lo trascinò solo l’ambizione del potere, che tutti dicono essere in lui smodata. Il bello sta in questo, che la Francia, o meglio il governo francese, sperò di poter digerire a suo migliore agio la questione romana; sperò di vedere meglio contenuti nel seno al suo vicino i partiti troppo teneri per la libertà, della quale esso si mostra così om-