— 138 — di pace, nell’alta finalità che agitava tutti i patrioti e voleva un lavoro effettivamente conclusivo da tutti. A proposito del Ricasoli scrive la Mario (V. II, pag. 139): Mazzini fu da Dolfi presentato a Ricasoli, e da lui cordialmente riveduto. E qui bisogna determinare ogni punto per quanto è possibile nella mancanza del terzo volume delle lettere del Barone, le quali, se saranno pubblicate per intero, e colle risposte di Cavour, illumineranno molti punti oscuri e sperderanno molti pregiudizi. Certo è che l’uomo che mandò a dire a Cavour — non voglio che si parli più dell’autonomia della Toscana — era il più glorioso convertito all’unità che Mazzini facesse maii. E appunto per l’immenso sacrificio fatto dello splendore secolare e della superba esistenza a sè dell’ inclita regione, Ricasoli divenne il più feroce avversario dell’egemonia piemontese e il più esigente nemico dell’autonomia dell’altre provincie. E diceva: «per far l’Italia si è disfatta la Toscana; per completar l’Italia si disfà le altre provincie, per Dio ». Onde a Cavour non dava tregua n!è giorno nè notte, rimproverandolo costantemente d’inerzia, per la paralisi che, secondo lui, aveva colpito il governo di Torino. Mentre Garibaldi saettava i Borboni in Sicilia, egli voleva che il Re fulminasse nelle Marche Lamori-ciére e i suoi mercenari; che dichiarasse addirittura guerra al Re di Napoli, che insomma, mentre si prevaleva di Garibaldi, non si lasciasse prender da loro il morso in bocca.