— 176 — A lumeggiare maggiormente la difficoltà dei tempi, la fiducia completa che nel successo ebbero gli uomini che resser la Toscana, unitamente ai patrioti, servono ancora i Ricordi del Tabarrini, che sempre involuto dalle idee autonomiche, se pur nella sua onesta coscienza offeso dal contegno della famiglia granducale discacciata, datasi compieta-mente all’Austria, non ebbe la forza di scegliere tra le due formule del plebiscito : « Io — scrive il 12 marzo 1860 — pensati in coscienza i due termini del decreto, non mi son capacitato nè dell’uno nè dell’altro, ed ho scritto una terza formula che renderà nullo il voto, ma che pur mi è parsa rispondesse meglio al mio pensiero». Chi avrebbe allora predetto al coscienzioso e dotto segretario del Consiglio di Stato della Toscana, ritenente impossibile il grande mutamento unitario, ch’egli sarebbe divenuto il presidente degnissimo del Consiglio di Stato del Regno d’Italia e per più lungo tempo d’ogni altro il vice presidente del Senato installato in quella Roma che gli sembrava follìa lo strappare al Pontefice? Interessante il contrario parere dei codini, riportato dal Tabarrini : 19 febbr. 1860: L’opposizione si limita a raccomandare l’astensione. Ma pochi o molti, cosa proverà il suffragio? Nulla, fuori della passione che agita in questi momenti le moltitudini. Gli odi personali municipali troveranno in questi voti un’espressione sincera; Pisa, Livorno, Siena