— 224 — ora non è la volontà di riconquistare l’indipendenza. Restare così come oggi siamo possono soltanto deciderlo i popoli che ancora non si sono emancipati dalle vecchie tirannie italiane. Parmi udir netto il linguaggio di questi popoli. I Siciliani non parlarono ma conchiusero; i Romani protestano con un’attitudine che a stento conteniamo subordinata, perchè fida non lontano il momento venturoso per lei. I Veneziani fremono schiacciati da una forza oltrapotente, ma gridano contro 1’ iniqua tirannia 1. Restano i Napoletani che non hanno apparenza d’essere in Italia, ma là pure non tarderà l’occasione di un pronunciamento. Soprassedere vuol dire mutare la febbre d’infiammazione in febbre putrida, con grave danno d’Italia e gravi pericoli per l’Europa. È inevitabile l’andare avanti poiché esiste pericolo di star fermi e lo andar lenti è pur pericoloso. Se io avessi dimostrato che è inevitabile l’andare avanti, avrei risposto al suo quesito. È vero che io non dico nulla della questione diplo- 1 Raffaello Barbiera in Voci e volti del passato (Treves, 1920) narra, in rapporto alla dolorosa attesa dei Veneti dopo la pace di Villafranca e le annessioni dell’ Italia Centrale, delle Marche e dell’ Italia meridionale, che il deputato Tecchjo parlò alla Camera sulle sorti di Venezia suscitando applausi, profonda commozione e sensazione. A lui rispose degnamente il Cavour; P01 prese la parola Bettino Ricasoli — la triade, nota lo scrittore, era perfetta — il quale pronunciò queste parole che compendiavano quelle del Tecchio e del Cavour: « I Veneti diedero in superlativo grado l’esempio del come un popolo possa giungere ad esser padrone di sè medesimo contro la tirannia e l’occupazione straniera, non transigendo mai sui propri diritti ».