— 542 — dirò francamente che io mi danno con lei, e persevero nel peccato, intorno a ciò che Ella mi espone sulla necessità di dar libertà alle Chiese d’Italia. Giornalista mi sono aifaticato a sostener queste dottrine, avvocato le ho patrocinate. Pur veda in quali tempi viviamo! Non ha guari, arringando avanti la Corte d’Assise di Lucca per un individuo reo d’aver impugnato in uno scritto la dottrina dell’ Immacolata, ebbi a dire che questi procedimenti erano contrari alla civiltà dei tempi, nei quali ognuno si sente e vuole libero. Or bene, quasi avessi proferito bestemmia, fu richiamato all’ordine, e allorché volgendomi ai Giurati, invocai da essi un verdetto che consacrasse la piena libertà di coscienza e ponesse termine a questi rimasugli d’intolleranza, fui minacciato della perdita della parola. Vinsi, è vero, ma la vittoria mi fu palmo a palmo contrastata e quando le armi della ragione o del pregiudizio non valevano a combattermi, si ricorreva a quelle della violenza. E lo stesso mi avverrà fra breve avanti la Corte di Firenze, dove nel marzo per un caso quasi simile profferirò eguali dottrine. E poiché non ho giurati, perchè non si tratta di cose stampate, avrò reprimende e moniti, giacché ancora non si vuol capire che l’art. 1 dello Statuto è la più grande anomalia che esista, nè si vuole intendere che uno stato non ha da aver religione sua, ma deve riconoscerle e ammetterle tutte quante. Ma assai le dissi di me; e se ne tenni proposito, fu perchè volli mostrarle che Ella non è solo a peccare (anco Carlo Fenzi 1 cui lessi la carissima sua m’inca- 1 Carlo Fenzi, della famiglia dei banchieri fiorentini (1823-81),