— 439 — doveva tutelare andasse in fiamme per moti rivoluzionari. A tempo dell’ insurrezione nelle Marche e nell’ Umbria le truppe francesi avevano in precedenza ricevuto ordini di ritirarsi entro il territorio che rappresentava il Patrimonio di S. Pietro, e che al Pontefice doveva restare, siccome restò. Inoltre Rattazzi non ebbe mai, nè in quella nè in tutte le sue incarnazioni ministeriali, una direttiva chiara : oscillava secondo il momento e il vento che spirava da Parigi, e non avrebbe mai avuto potere, come invece lo avrebbe avuto Ricasoli, d’imporsi a Garibaldi e al partito d’azione. Anzi Garibaldi incominciò subito a carezzare, dandogli incarico di ispezionare i tiri a bersaglio che s’istituivano, per di lui proposta, in ogni città del Regno, e gli consentì anche la formazione di due battaglioni di carabinieri mobili, coi quali avrebbe dovuto recarsi in Grecia insorta contro Re Ottone, o altrove, per risuscitare lo spirito rivoluzionario in favore di Venezia e Roma, mèta delle sue gesta. Tutto lasciava credere, e Rattazzi lo confortava, che accordo completo tra i due esistesse. Dovè finalmente il Governo nel 14 aprile ’62 dichiarare, per pressioni francesi, che qualunque azione guerresca era inibita, e impedire gli armamenti e i tentativi di sconfinamento, sbarrando i passi di Valcamonica e di Valsabbia. E i primi conflitti tra volontari impazienti e mal trattenuti e truppa regolare vi furono.