— 241 — Ed in questa concezione avanzata io riscontro il merito e la prerogativa dell’uomo di stato toscano, la cui sicura e assoluta fede nel successo finale lo differenzia dai contemporanei D’Azeglio, Minghetti e Farini, e ne fa un apostolo del riscatto affine ai quattro grandi Fattori, e di gran lunga superiore agli altri. Infatti il pensiero politico del Minghetti è stato sempre incerto, come già dissi: scrive, tra l’altro, il 6 agosto 1860 al Tabarrini: Le cose d’Italia si fanno molto gravi. Le difficoltà crescono, i pericoli, gli ostacoli si moltiplicano, e ci vorrà gran senno (non disgiunto da ardimento) per superarli. Io credo che la tempesta sia vicina, e la nave nella quale navighiamo avrebbe mestieri di maggior solidità per affrontarla. Ma non è dato agli uomini di combattere i venti, sì bene di reggere il timone. Egli sempre era stato dubitoso d’ogni moto popolare, e poca fiducia avea nutrito per Garibaldi, quindi la sicura speranza nel successo non poteva arridergli. A Farini invece l’antipatia che aveva nutrito pel Generale e per i di lui seguaci, ne’ quali sempre aveva voluto scorgere nemici della monarchia, offuscava la esatta visione, e faceva scorgere sempre buio anche là ove tra le nubi già si faceva strada un raggio di sole 1. Questa sua let- 1 II Curatulo in Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della Patria, Bologna, 1911, osserva a pag. 128 che se ri-