— 285 — fautore del dissidio ; e la forbita ed abile mano dell’ illustre diplomatico stringa quella vittoriosa del Generale Garibaldi. In quella stretta di mano io, e non m’ illude l’amore od il pericolo della patria, veggo l’accordo della rivoluzione colla monarchia, la fraternità e la comunanza di sorti tra volontari ed esercito: è l’arra dell’avvenire d’Italia nel più stretto vincolo tra i due uomini, Vittorio Emanuele e Garibaldi. Completamente divido anche l’opinione espressa dalla Mario che se Cavour fosse andato a Napoli ed avesse esposto a Garibaldi le sue vere intenzioni, questi, senza inutili lamenti sul passato, avrebbe cercato il minor male per l’avvenire, e a Cavour sarebbe stato risparmiato l’atroce dolore della scena del 18 aprile 1861, ove per ben tre volte il generale affermò che solo l’orrore della guerra fratricida l’aveva deciso a ritirarsi dal Mezzogiorno, ove la gloria del suo esercito era stata oscurata « dalla fredda e malefica mano del ministro». L’ultima lettera che il Generale indirizzò nell’ottobre ’60 al Cavpur prova ancora una volta che egli dimenticava ogni rancore personale quando ravvisava in questo o in quello un istrumento di bene per la patria. « I sacrifici — scrive — con cui lei è stato obbligato di pagare la magnanima alleanza l’avrannO fatto certo di quanto possa sperare dalla stessa, e 1 intelligenza sua superiore l’avrà posto in stato °ei'tamente di pienamente conoscere la propria si- 19. - M. Puccioni, L’Unità d’Italia, ecc.