— 25 — Il Gotti, nella Vita, riferendosi anche a quanto asseriva il Dall’Ongaro, afferma che l’idea d’annettere la Toscana al Piemonte il Ricasoli avrebbe abbracciata fin dal 1849, anzi che vi avrebbe pensato fin dalla prima età. Sarà anche vero, ma ciò non toglie che il pensiero se lo tenne per sè, e timoroso di quanto sapea di rivoluzione — senza la quale il miracolo dell’unità mai avrebbe potuto compiersi — nulla ebbe a propalare, a differenza di quanto scrisse ed operò il Salvagnoli dal 1849 in poi. «(Bisogna essere sviscerati amatori del disegno d’abolir tutti gli stati per farne uno solò — riporta il Gotti da una sua lettera del 1856 al fratello Vincenzo — e bisognerebbe per ciò scacciare l’Austria e con essa i principi che non si voglion più. Ora questa è una strana idea, quando si sa che nessun principe, salvo il Piemonte, an-ebbe contro l’Austria. E sarebbe uno stolto consiglio, supponendo una così bella rivoluzione, necessaria per scacciare i principi e muover concordi contro l’Austria, di rifar l’Italia con due o tre principi, che poi previa una seconda rivoluzione, andrebbero scacciati in seguito, meno uno che deve restare. Se non è possibile oggi, preparateci l’unità er l’avvenire, e dateci una rivoluzione sola e decisiva, ed aggiorniamola a quando saremo maturi». Adunque il concettò dell’unità non uscì dalla erchia del suo pensiero intimo, e come del moto ivoluzionario fu sempre dubitoso — e lo mandò