71 occupazione nell’agricoltura (56,7; però soltanto 12,3 % nelle città autonome), con un lieve aumento rispetto al 1910 (53,6 %). Alcuni comitati hanno medie superiori al 75 e anche all’80 per cento, come quelli di Fejér (75,9), Gyòr (79,8), Bàcs Bodrog (82,2), Bereg (79,6), Hajdu (75,7), Szatmàr (79,5), Arad (77,8), Torontàl (78,5). È da tener presente tuttavia che l’Italia stessa ha una percentuale media di agricoltori che si avvicina sensibilmente a quella ungherese (56,1) e che molti altri stati d’Europa, come la Bulgaria (82,4), la Lituania (79,4), la Polonia (77,8) e la Finlandia (68,8) hanno percentuali di popolazione agricola ancora più alte. La Spagna (56,1) e l’Irlanda (56,4) hanno cifre più prossime a quelle dell’Italia e dell’Ungheria. L’industria è al secondo posto tra le occupazioni impiegando il 19,7 della popolazione attiva (Italia 24,6, comprese le miniere); la cifra sale al 34,8 nelle città autonome (39,5 Budapest, 38,5 Miskolc, 44,4 Gyòr). Di questi 1,1 % sono occupati nelle miniere e altiforni (10 % a Cinquechiese; 22 % a Eszter-gom). L’alto numero di lavoratori giornalieri spiega la diffusione delle idee comuniste e socialiste, specie nelle maggiori città e nei latifondi. Segue per importanza numerica la popolazione impiegata nel commercio e credito (in media 4,9 %, ma 14% nelle città autonome e 18,1 a Budapest; Italia 6,4), nei servizi pubblici e professioni libere (4,5, ma 11 nelle città e 13 a Budapest). Si ha poi il 4,2 di domestici, il 3,1 impiegato nel traffico e infine il 2,3 serve nei corpi armati.