dell’urbanità che il Nostro raccomanda di vincere con garbo, senza però offendere quest’ultima, e cioè coll’« annoiarsi sapientemente ». « Ponendo mente non al discorso ma a colui che lo fa, alle intenzioni di lui, e se non ne ha, al modo con cui viene accolto il discorso da que’ che ascoltano ; comincerai così a conoscere te stesso e gli altri, e non temerai la noia ». Un senso degno e un fine pratico doveva pertanto ispirare il formulario delle cerimonie, al quale il Nostro s’inchina conscio che questo, nella sua discrezione, non tollera infrazioni di sorta, e neppure una professione troppo acre di verità, allo stesso modo per cui sarebbe « strano ed irriverente che una donna in mezzo a splendido crocchio si presentasse discinta ». Di questo avverte il Nostro, che sentendo nell’aroma della solitudine in cui viveva, il nettare dell’universale armonia, acquisiva quella grazia a considerar la vita tutta, e perciò le convenienze sociali, quale ai raffinati dei salotti mancava. - 87 -