Il Leopardi dimostra anche troppo come l’attualità del piacere sia per l’appunto il momento più infelice della vita ; poiché non riuscendo a soddisfare in pieno il nostro desiderio, fattosi più grande e per l’aspettativa e per il giudizio valutativo del bene stesso cui si agognava, procura, per l’incompleta soddisfazione e per la delusa speranza, un senso doloroso più che di gioia, mentre ci riesce più gradito e il ricordo suo e l’attesa. Ma il Leopardi che si dissanguava la mente con prove e riprove, quasi ruote o punte di tortura, per dimostrare nel sublime e tragico suo Zibaldone l’inesistenza dei piaceri, concludeva sull’ inutilità della vita stessa, così perchè non la vedeva ricreata da nessun bene, mentre a un bene credeva o fingeva di credere ad unico suo pascolo : 1’ illusione. Il Nostro che riconosceva appunto per un bene ciò che destava la disperazione nel Recanatese, il dolore, doveva considerar la vita come una missione che si maturasse e si nobilitasse attraverso il crisma del dolore stesso, e non già sollecitato fanaticamente come un cilicio, ma per stretta ragion del meglio, essendo « più vario, più ispiratore e più innovatore della gioia ». Egli sdegnava i piaceri non per uno spirito di stoica rinuncia, ma perchè « son per Io più dipinti, toccansi, non s’ab- — 58 —