Perseguiva quella idea ancora dopo qualche mese. Scriveva, infatti, al Pratesi il 6 Giugno 1870: « Sono sempre teco col cuore e più mi inoltro nella vita, più vado perdendo di vista la moltitudine di amici di altri tempi, ma tu, tu resti coi pochi dritto al mio fianco, e parlo con te. Oh dove sono andati quegli anni, perché son essi volti coll’aspetto della malinconia mentr’erano preziosi e fecondi come il cielo di rugiada? Ho tessuto su quei tempi un altro racconto, in cui il cimitero pisano e la piazza del duomo hanno la loro parte; e tu mi tornavi alla mente quando io notavo. Innesterò in quel lavoro il mio Diario di Sicilia, e dentro questo anno penso di poterlo finire. Riuscirà come potrà. » Persisteva dunque nell’Abba il proposito di trasferire il diario garibaldino in un lavoro narrativo d’arte, come già aveva intessuto i suoi ricordi della Spedizione nel poema Arrigo. Il proposito si era anzi meglio precisato, poiché il [7J]