166 VI. - U9KUB sposte paio per paio e lasciate lì dalle persone le quali debbono salire negli uffici dell’ispettore, dove, in segno di rispetto, i Turchi entrano soltanto con delle specie di pantofole per non far rumore. Sono rimasto un po’sconcertato, sapendo la mole di lavoro che devo fare giornalmente Hilmi pascià, nel vederlo seduto a un piccolo tavolo sul quale v’era qualche fascio di carte, un piccolo calamaio, due o tre penne, la solita scatola di sigarette e niente altro. In fondo alla stanza, seduti su un sofà, parecchi alti funzionarli turchi stanno là immobili in atto di rispetto. Non è loro consentito di prendere la parola altro che quando Sua Eccellenza gli interroga, e allora debbono alzarsi in piedi e, prima di rispondere, fanno un grande inchino e con la mano accennano all’atto di baciare i piedi. Mentre Hilmi pascià discorreva con me — e il colloquio durò più di due ore, poiché egli gentilmente volle spiegarmi tutto il suo piano circa l’applicazione delle riforme — era spesso interrotto da funzionarli i quali venivano a riferirgli qualche notizia, a portargli qualche telegramma, a pregarlo di voler firmare — o, per essere più esatto, di apporre il suo suggello, che tien luogo di firma — a qualche lettera o a qualche ordine. E strano vedere come scrivano appoggiando sul palmo della mano dei piccoli fogli di una carta speciale, senza intestazione, e senza ritener copia della corrispondenza, tranne in casi specialissimi. Tutto l’archivio dell’ispettore, il quale ha sotto la sua diretta giurisdizione un territorio vastissimo — tutta la Turchia Europea — credo non occupi più di due o tre cartelle poste sul tavolo del suo segretario, il quale lavora in una piccola stanza vicina a quella dove l’ispettore riceve tutti quanti.