L’arrivo a Salonicco 195 Porte di Ferro, secondo i Greci i quali spingono fin lì le loro aspirazioni, il Vardar diventa fiume greco. La strada continua uguale, monotona, triste, sempre sulla riva destra del gran fiume macedone, fino al lago d’Amatovo, il quale non è altro che una grande palude, tutta ricoperta di piante acquatiche, quindi attraversa, per una trentina di chilometri circa, una vasta e paludosa pianura fino a Salonicco. Quando non v’era ancora la ferrovia e si faceva la strada di giorno, questa pianura pareva estendersi all’infinito, come il mare, fino a che non si arrivava a poca distanza dalla città e non si vedevano ergersi da lontano, da una parte, le vette dei monti della Penisola Calcidica e, dall’altra, la massa imponente dell’Olimpo. Ma ora il treno arriva verso le dieci di sera, e questo spettacolo è perduto. Quando, a due o tre chilometri dalla stazione, il treno prudentemente incomincia a rallentare, nessuno immaginerebbe che si stia per arrivare in una città di più di centomila abitanti, la seconda città per importanza dell’impero Ottomano. Solo qualche raro lume, in distanza, fa capire che si arriva in un luogo abitato. Allo scendere dal treno, tal quale come a Costantinopoli, siete aggrediti da una turba di facchini che vi strappano dalle mani le valigie, contendendosele fra di loro a parolaocie ed a pugni. Guai per voi se non fate uso di tutta la vostra energia per impedire che vi portino via le valigie prima che vi siate intesi col dragomanno dell’albergo ove avete stabilito di scendere. C’è il caso di perdere un’ora a ritrovare il facchino e le valigie.... Quando non ve le portano, senza incaricarsi d’altro, in un albergo qualunque, e non vi riesce quindi di ritrovarle che all’indomani.