374 ritenuto dagli Istriani un avvenimento sovrannaturale. Quell’acqua che spariva era una cosa per essi fuor d’ogni legge di natura ; e solo allora credettero inutile ogni lotta quando in favore dei Romani operavano forze misteriose ed occulte. Ogni resistenza diventava inutile, e alle prime atroci scene della sete s’ impossessò di loro una frenesia di disperato eroismo. Chieder pace non vollero — arrendersi, impossibile — cader vivi nelle mani dei romani era un’ ignominia perpetua in una certa schiavitù — schiave e vendute le loro donne o i figli, atrocità da non pensare. Liberi erano nati, liberi dovevano morire colle armi in pugno, tra le rovine fumanti delle proprie case, quando ancora dall’ira nemica li proteggeva le non crollate mura. Essi stessi quindi quegli indomiti si volsero contro le proprie spose e i figli trucidandoli e gettandone i cadaveri oltre gli spalti, avvertimento ai nemici che non avrebbero avuto dei vivi nelle loro mani, ma cadaveri e macerie. Esterrefatti i Romani a quella fosca tragedia, essi che pur sapevano di Cartagine e di Numanzia, si affrettarono all’ assalto, perchè non sfuggisse loro il bottino dei prigionieri. Penetrano nella città, e dovunque la lotta s’ impegna mortale, su ogni palmo di terra, di casa in casa, corpo a corpo, sorda, atroce, di vita e di morte. Epulo è circondato dai suoi fidi, che cadono ad uno ad uno nel difendere in lui la patria indipendenza. Ma nessun giavelotto, nessuna lancia romana lo tocca — i Romani in mezzo a quella strage lo avrebbero protetto dei loro scudi. Oh, il bel trionfo quando legato al carro del vincitore Roma potesse ammirare lo stesso monarca dei vinti ! « No ! » ruggisce Epulo, e si pianta nel petto la spada. La secolare indipendenza degli Istriani giacque su quel colle, dove oggi vanga e piccone condotti da dotti archeologi scoprono avanzi di quella età vetusta, di quei giorni immortali. Da allora il Romano, che non abuserà punto della vittoria, ma in premio della fedeltà dei patti donerà libero