— 135 — di neve, nelle guerre e nelle diffìcili venture dei negoziati. Ora qui veniamo alla casa paterna e supplichiamo ci teniate per consanguinei ». « Quei nostri congiunti, messere, sono morti, a quanto ci fu detto », rispose il marito di Fiordalisa ; « ma se dite d’essere quegli smarriti da lungo tempo, datecene prove, e come parenti vi accoglieremo ». « Queste prove, ora, non le abbiamo », soggiunse Matteo ; « ma ecco, dateci licenza di convitarvi tutti qui nell’avita casa dei Polo oggi a otto giorni. E quelle prove vi daremo ». « Sta bene, sia dunque per oggi ad otto ». * * * Alla prima ora pomeridiana del giorno prestabilito, entrarono nella sala della ricca imbandigione Matteo, Nicolò e Marco, vestiti riccamente di lunghe zimarre di cìambellotto fiammingo, cinti alla vita da fusciacca di seta d’Oriente, donde pendeva una scarsella su cui le tre cornacchie o pole nere in banda d’ argento erano ricamate in campo d’azzurro. Mai non avevano i congiunti veduto mensa sì sfarzosamente imbandita. Le arance di Sicilia, lo zibibbo di Corinto e di Nauplia, i dolciumi di Smirne e di Tessalonica, i vini di Malvasia in anfore d’argento gremivano le credenze. Sulle tovaglie del più candido lino di Fiandra i taglieri dì pino sostenevano le carni arrostite della migliore cacciagione delle Alpi lombarde. I pesci marinati stavano nei bacini di majolica, allora materia rarissima, della cui fabbricazione i figulinai della Spagna custodivano gelosamente il segreto. « Messeri e madonne cortesi », cominciò Matteo, « voi sapete che qui vi abbiamo convitati come congiunti, e fo testimonianza che tali voi siete. Y’auguro pertanto lieta la festa » ; e, recitato piamente il benedicite, s’assise.