L’IMPERATRICE DEI BALCANI Mortai non è la mia ferita, e in fronte Alla figliuola a te diletta intatto Olezza ancor dell’innocenza il fiore. Della mia vita sul cammino, o padre, M’avvenni in tal, che all’amoroso laccio Sorridendo mi colse. Errai, noi niego. Del mondo ignara e d’ogni frode umana, Del nuovo affetto, che virtù mi parve, Arsi, ponendo dal mio giovin cuore Ogni vile sospetto. Ero un augello, Che implume ancora, abbandonando il nido Va sulla fronda. Al par di lui, che nudo E gelato potrìa perir su quella, Per la ferita, onde m’è il collo offeso, Posso io pure finir. Se ciò avvenisse, Pria di lasciarti, salutar con questi Detti m’udresti l’universo: addio. Il mio amore perdono al duca Stanko, Ma l’ira dell’Eterno inesorata Impreco al traditor del Montenero. (cala il sipario) FINE DELL’ATTO SECONDO. — 160 —