L’IMPERATRICE DEI BALCANI Il popolo agitarsi, e sovra tutto, Sul seggio avito troneggiar mio padre. Quanto a questo in beltà cede il terreno Della Zeta inferior fino all’opimo Tessalo suol ! Mentre in mirabil modo Da Mataguzzo a Spus biondeggia il piano, Un padule laggiù senza confine L’occhio contrista. Ma qui tutto incanta Fuori il picciol villaggio. Ivi le piante, E gli augelli, e le selve, e gli occhi stessi Della cara Danizza, e del cortese Conte Peruno l’incantato albergo, E nel giardino suo l’alta betulla Furo alla pace del mio cuor fatali ! Ahi Berislavzi! Berislavzi! tutti In te fiorir del mio passato i giorni; Ma gli parenti miei non m’han concesso Che mia fosse Danizza; ed io non vivo Da lei diviso. Là m’avvolse in rete Terribile Ibraimo, a cui promisi Di dare in mano del Sultan la Zeta, La mia patria tradendo, il mio buon padre, E la mia fede. O Berislavzi, Iddio Prima t’avesse sterminato! (dopo lungo silenzio) Eppure I Balcani mi dà, mi dà uno stato L’Imperadore; ei mi diligge e aita, E per esso saprò stender su tutti I cristiani lo scettro. Il genitore Ivano invecchia, il Despoto è caduto, Ianco disfatto; e mentre il Turco allegro — 9j —