LA PACE ADRIATICA 163 economiche, pronto e soccorrevole per i bisogni delle popolazioni, sorretto sempre da un senso di cordiale umanità verso tutti. Gli stessi contadini morlacchi dell’interno della regione si erano affezionati ai nostri ufficiali, affabili e alieni dagli abusi e dalle prepotenze che i Serbi andavano commettendo nella Dalmazia meridionale. Si sapeva che Enrico Millo non riceveva mai direttive politiche da Roma, ma che non se ne lagnava, perchè, se gli fossero giunte, sarebbero state pessime. Agiva di sua iniziativa. Aveva raccolto l’eredità dei savi Provveditori Generali della Serenissima, che avevano lasciato scritta sulla fronte della Loggia di Zara la fiera epigrafe : « Hic regimen clarum magnaque facta manent ». A loro somiglianza, aveva fatto amare la Dominante, che non era più Venezia, ma l’Italia. * * * Di quel soggiorno indimenticabile in Dalmazia vorrei rievocare particolarmente le due giornate di Curzola e di Spalato. A Curzola, intatta stupenda cittadina del Rinascimento veneto, incastonata come preziosa gemma in uno dei più ridenti paesaggi del mondo, ci fecero, come da per tutto, commoventissime dimostrazioni di affetto, non per le nostre persone, ma per ciò che si illudevano noi rappresentassimo: se non che non ci aspettavamo di trovare tanto slancio di dedizione popolare in quell’isola appartata, a cui le statistiche elettorali e linguistiche attribuivano un nucleo esiguo di nostri connazionali. Vi vedemmo strani fenomeni di reviviscenze italiane. Citerò un esempio. Nella elegantissima piazza del capoluogo, sfondo degno di un quadro di Gentile Bellini, si tenne una delle solite adunate, per farci