ITALIANI DISERTORI E PATRIOTI SLAVI 27 golando dal russo, dal greco e dal polacco le parole per tutti i concetti che non si potevano altrimenti significare. Una fatica enorme, che di continuo si rinnovava e tuttavia si rinnova, nè mai cesserà, finché un miracolo imprevedibile non avrà conferito unità e infuso vita in questo strambo organismo artificiale. Intanto anche in Dalmazia si insegna un tal cibreo nelle scuole e lo si usa negli uffici dello Stato e nelle amministrazioni pubbliche: fuorché in quelle dell’ultimo comune nostro, a Zara. AlFimprovvisata lingua, pur oggi in formazione, ognuno dà, come può, un suo contributo; e una piccola oligarchia di professori e di letterati mette in circolazione le nuove frasi necessarie per esprimere i concetti più vecchi; e giornalisti, avvocati, medici, impiegati traducono e inventano di volta in volta le parole che occorrono per i bisogni pratici della mutevole realtà quotidiana. Non importa dire quanta confusione ne venga alle menti, e quale danno e intralcio agli affari pubblici e privati. L’idioma parlato, o gli idiomi parlati, come dicevo, erano e sono ancora, naturalmente, tutt’altra cosa. Fino nei più remoti villaggi dell’interno della Dalmazia, dopo tren-t’anni dalla soppressione ufficiale della nostra lingua, il popolo, che non conosce i neologismi faticosamente coniati dai professori, adopera parole italiane per tutti gli oggetti di biancheria e di adornamento personale moderno, per le stoviglie, per molti attrezzi dell’industria cittadina, per tutte quelle cose, insomma, ch’esso deve acquistare in città. E via via che ci si avvicina alla costa, le parole italiane aumentano : per esprimere sentimenti, concetti astratti, entità ideali, si devono usare termini e frasi italiane, finché, giunti proprio al mare, e su le isole, dove la navigazione e la pesca costituiscono il fondamento comune della vita, anche nella par-